Challenge Life
Pensieri sparsi su questa nuova tendenza a vivere tutto come una sfida con se stessi e con i propri limiti.
La mia sveglia suona alle 6. Direi nella media per la maggior parte delle mamme con figli in età scolare. Provo a fare qualche minuto di meditazione o visualizzazione mentre sono ancora a letto coccolata dal piumone, dicono che aiuti ad affrontare meglio la giornata e anche un po’ la vita, pensa te. Poi mi alzo, in pieno inverno è ancora quasi buio, sono da sola, mi faccio il caffèllatte ascoltando una musica soft e lo bevo leggendo, prima era sempre un libro, ora è spesso Substack, ma è comunque un modo per nutrire la mente ed è più importante dei biscotti, questo è certo. Perchè tutte abbiamo bisogno di un pochino di tempo senza bambini intorno, per assaporare un po’ quella sensazione di esistere nonostante loro. Per alcune è la sera, per altre la mattina presto, e va benissimo, sacrosanto sia il sacrificio di un po’ di sonno (tanto non abbiamo dormito per anni quando erano piccoli, ormai ci siamo pure un po’ abituate alla sleep deprivation, no? tanto vale trarne un vantaggio).
Poi alle 6.40 sveglio i bambini, ed inizia il tran tran quotidiano, che solo in rare e fortunate occasioni non include nemmeno un capriccio, perché la maggior parte delle volte invece dobbiamo affrontare problemi enormi tipo la cucitura dei calzini, il sapore del dentifricio, il freddo della cucina in inverno, la camicia fuori dai pantaloni, le maniche della felpa incastrate in quelle del cappotto, etc.. etc.. ETC…
Loro escono di casa alle 7.20, (santo scuolabus sempre sia lodato) ed io inizio le mie tasks quotidiane di casalinga: letti, lavatrice, cucina e cosi via, ed ovviamente lo faccio ascoltando un podcast o un audiolibro, cosi come faccio mentre mi preparo per uscire, mentre guido, mentre stiro, mentre faccio la spesa e in tutti i tempi morti che riesco a racimolare durante la settimana, perché immagina che spreco di tempo, non aggiungere a queste brainless tasks qualcosa di produttivo, poi se è un romanzo, meglio ancora, cosi lo posso aggiungere alla mia challenge di lettura ed entro fine anno avrò letto i miei 40 libri, altrimenti, di nuovo, non valgo una cicca. In pausa pranzo spesso ho YouTube, dove personalmente spazio tra storia, inchieste, geopolitica, libri, marketing, skincare ed interessantissime conferenze (Tutte in inglese e in spagnolo ma se volete i link chiedete nei commenti e ve li passo! 🤓)
Imparo sempre qualcosa, anche mentre mangio.
Poi ci sono i corsi, perché posso vivere senza entrare da Zara per mesi, ma non posso vivere senza imparare cose nuove, e quindi ogni anno mi regalo un vero e proprio corso online, che di solito è sulla crescita personale e il coaching (che mi interessa sempre di più!!), MA, vuoi lasciare fuori le arti e la scrittura? Non sia mai, e quindi tra le altre risorse c’e la new entry Masterclass, alla quale cerco di dedicare una sera alla settimana.
Non mi dispiace la mia routine, certo vorrei avere più tempo, ma se lo avessi sono certa che ci infilerei dentro altre cose da fare, altre cosa da leggere, da imparare, da migliorare. Ed ho capito che questa necessità di fare sempre di più e sempre meglio non viene davvero da me, non viene dalla sola voglia di leggere un libro, viene dalla pressione sociale, o meglio, social, ed il punto è che la pressione a fare TUTTO è diventata troppa.
Non so se ci avete fatto caso anche voi, ma a me sembra di essere perseguitata da challenges. Ovunque io mi giri c’è una sfida da raccogliere, da fare mia, ed ovviamente da vincere, se voglio pensare di valere qualcosa…
Tbr1, sfide di lettura, sfide di ballo, di pilates, di meditazione, di schiena sexy, di face yoga, di palpebre toniche, di mangiare sano... 28 giorni senza urlare ai tuoi figli per diventare una madre migliore, 30 giorni di meditazione per essere una persona migliore, 28 giorni di pilates per avere un sedere migliore, e cosi via, all’infinito.
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Il concetto è sempre lo stesso, adesso fai schifo e devi migliorare, e siccome fai cosi schifo che da sola non ce la fai, eccoti la sfida, mettiti in competizione con te stessa e con altre migliaia di persone, e vediamo chi ce la fa, vediamo chi vince, vediamo chi vale qualcosa e chi invece deve essere scartato dalla società della performance.
Sapete che c’è? C’è che è pesante.
Io non li voglio i segnalibri d’oro e d’argento che quando apro il kindle mi dicono brava perché ho letto per tot sere di fila, non voglio che la mia vita sia una infinita TO DO LIST, in cui ogni esperienza diventa una task da spuntare, un blocco colorato su Calendar.
Se non lo programmi, non esiste, se non sei produttiva, non esisti tu.
Ci sono ormai migliaia di esperte della pianificazione, che da ogni piattaforma ti spiegano come programmare la tua vita per trarre profitto da ogni singolo minuto, non sia mai lo sprechi, non sia mai resti indietro. Tanto sei una donna, magari sei anche una madre e quindi sei multitasking perché altrimenti saresti morta, e quindi ecco che ovunque ti bombardano con questa storia della produttività.
Nessuno vuole restare indietro, e quindi arranchiamo cercando di unire l’utile al dilettevole, sentiamo ripetere che tutto va programmato, e allora il nostro Calendar sembra un puzzle colorato, con gli appuntamenti di tutta la famiglia, con le riunioni, la danza, il catechismo, in cui le guru ci consigliano di bloccare anche il tempo da dedicare al sonno e al pasto, come se fossero cose da fare e non diritti sacrosanti dell’essere umano…
Come sempre l’esaltazione di questa economia del tempo scarso ci arriva ben confezionato nei video e nei Reels delle mumfluencers americane, sempre con un numero di figli esagerato, che si alzano alle 4 di mattina, se non prima, e col buio prendono il caffè, scrivono il diario, si allenano (quasi sempre hanno la palestra in casa), fanno la beauty routine, preparano il loro healthy smoothie, si fanno la doccia, trucco e parrucco, si vestono come se fossero dentro Il Diavolo Veste Prada e preparano 4637 lunchbox con healty food. Tutto questo ovviamente prima che siano le 6.30, quando è ora di svegliare i bambini e prepararli amorevolmente per la scuola. Che poi voglio dire, se fai la casalinga o l’influencer, mi vuoi dire che in quelle 5/6 ore in cui i bambini sono a scuola non riesci a ritagliarti un’ora per il workout e per il journaling? C’è davvero bisogno di vendere al mondo questa immagine della madre che si alza quando è ancora notte per portare a termine tutte quelle attività che sono necessarie a renderla una persona di successo e ovviamente una madre migliore?
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Da quando prendersi cura di se stesse è diventata una responsabilità non più solo personale, ma nei confronti del mondo? Non puoi lasciarti andare, non puoi indossare i leggings o una tuta, non puoi ingrassare, non puoi invecchiare. Devi dare il massimo, sempre. Devi essere perfetta, altrimenti sei una povera sfigata. Non c’è il termine medio della normalità. Non esiste più da quando questa cosa del club delle 5 A.M. si è trasformato in una sorta di elite di quelli che hanno capito come gira il mondo e cosa fare per avere successo. Come se il resto della popolazione mondiale (leggi gli sfigati, i comunisti e i povery) si alzasse bellamente alle 10 per andare in spiaggia a giocare a racchettoni. Ma dai su, ma che fastidio!
I social, ormai non c’è nemmeno più bisogno di dirlo, sono parte della nostra vita e influenzano non solo i nostri comportamenti, ma anche i nostri pensieri, la nostra percezione del mondo e addirittura di noi stessi. E il problema più grande è che il prodotto di questo gigantesco Marketplace globale, siamo noi.
Tutto funziona con i PAIN POINT, tutto si basa sull’economia del dolore, dall’intrattenimento al marketing, da C’è Posta Per Te a qualsiasi prodotto o servizio in vendita. Perché per vendere devi risolvere un problema, per attrarre l’attenzione del tuo pubblico, devi pungolare i suoi punti deboli.
Devi farmi stare male, cosi puoi vendermi la soluzione.
(Ottima strategia di marketing usata dalle droghe più famose e dai farmaci di maggiore successo, d’altronde…)
Ed ecco perché la pubblicità della sfida 28 giorni senza urlare ai tuoi figli ti fa un test per vedere il livello di madre di merda che sei e che ti vende foto di una vita perfetta con i bambini perfetti, perché tu adesso sei una madre pessima, orribile, ma puoi diventare perfetta, se fai quello che ti dicono. Se ti iscrivi alla sfida, se paghi. Giocano sulle tue debolezze, sui tuoi errori, sul tuo senso di colpa e inadeguatezza. Ed io, dal bassissimo della mia estrema imperfezione come mamma mi chiedo: è umano essere una madre perfetta, sempre felice contenta calma e in ordine? O forse la realtà falsata che ci propinano i social ha alzato troppo l’asticella e di conseguenza il nostro livello di frustrazione è troppo alto, col risultato che nonostante la tanta voglia di fare benebenebenissimo, finiamo per fare peggio di chi non aveva idea ne di maternità cosciente ne di educazione dolce e che magari, non subendo il confronto col mondo intero ed essendo meno sotto pressione, ha fatto pure meno errori?
Ed ecco perché la sfida di pilates ti dice: “Cerchiamo 40 mamme pigre che hanno poco tempo per rimettersi in forma”. Voglio dire… è un annuncio di lavoro? O ci regalate 3 ore di baby sitter a settimana per farci andare in palestra o semplicemente a respirare fuori di casa? C’è un premio per queste povere madri che non je la fanno a stare al passo con gli standard di bellezza attuali? O semplicemente quella pubblicità sta rigirando il coltello in una piaga, quella che molte, moltissime mamme hanno ben aperta e infetta per anni, quella di un corpo cambiato, martoriato, stanco, un corpo di cui non sono più padrone, come non sono più padrone del loro tempo? E allora colpiamole, dai, schiaffeggiamole, facciamole sentire uno schifo, cosi cliccano sul link e comprano la challenge per non urlare e diventare brave mamme, e anche quella di pilates che permette un sedere sodo e una pancia piatta in 28 giorni, tanto poi falliscono, ma chissenefrega, avanti un’altra, che tanto ogni giorno nascono millemila bambini e dunque ogni giorno nascono millemila madri che staranno male e che si sentiranno fallimentari e inadeguate.
Siamo una miniera d’oro, ragazze.
Solo perché porca miseria, invece di sfogarci con le nostre 4 amiche fidate, ci affidiamo ai social e ci confrontiamo col mondo intero, un mondo finto, che non potrà mai né aiutarci né risolverci i problemi veramente.
Perché nel momento in cui noi stiamo bene, smettiamo di comprare. Smettiamo di consumare.
E allora cerchiamo almeno di consumare in modo cosciente, cerchiamo di vivere la nostra vita e la nostra quotidianità seguendo i nostri ritmi e non quelli che ci vengono imposti, perché va bene anche uscire in tuta, se ne hai voglia, come va bene metterti in tiro, se ne hai voglia. Perché la skincare fa bene, cosi come fa bene mangiare sano, e muovere il corpo che sta incollato ad una sedia o su un sedile per molte ore al giorno, ma tutte queste cose le dobbiamo fare per noi, per sentirci meglio con noi stesse, per arrivare a 70 anni con la schiena ancora dritta e le gambe ancora forti, non per rispondere a degli standard imposti da una realtà parallela e completamente irreale. Non bisogna colorare in giallo la pausa pranzo, e nemmeno le ore di sonno, e nemmeno il tempo in cui si vorrebbe leggere un libro o vedere una serie in tv. Non bisogna per forza essere sempre dolci buone e coccolose, si può anche urlare qualche volta, e questo non ci rende madri indegne.
E lo sapete che vi dico alla fine di questa lunga riflessione?
Che domani in macchina voglio cantare invece di imparare, che voglio leggere senza sottolineare, che voglio stirare guardando Friends, o l’oroscopo, o un video sui fondotinta, visto che il mio è quasi finito.
Perché no, non serve essere perfette né vivere spuntando to do list. Anche perché questa ossessione di essere svelta, essere produttiva, ottenere di più e ottimizzare ogni minuto ci costa qualcosa di essenziale: la capacità di essere pienamente presente. La capacità di ascoltare noi stesse e quelle piccole persone importantissime che abbiamo intorno.
Fatemi sapere che ne pensate.
Love,
Valeria
To Be Read, Da Leggere.
L'unica visualizzazione che potrei fare alle 6 di mattino è quella di rimettermi a dormire. Al più, di arrivare viva a fine giornata. Fortunatamente, quest'ultima si è sempre avverata! 🤣
L'ho buttata sull'ironia ma comprendo bene la sensazione di soffocamento.
Ho fatto la conoscenza della crescita personale una quindicina d'anni fa, quando cercavo di portare a termine un corso di laurea che mi piaceva poco. Quel mondo che inizialmente mi aveva conquistato per la sua promessa di «Se vuoi, puoi», si è piano piano, rivelato tossico come le abitudini che cercava di combattere.
Di per sé non sono sbagliati i concetti o i ragionamenti, ma finiscono sempre con il diventare troppo semplicistici e le semplificazioni quasi sempre mi infastidiscono.
Credo che la chiave stia nel trovare un equilibrio. Equilibrio fra riposo e focus. Tra progetti e vita sociale. Tra quello che siamo, quello che vorremmo essere e quello che potremmo essere al netto delle nostre possibilità (anche economiche).
Difficile? Molto, molto di più.
In questo mio primo gennaio da mamma, in quella che ormai definisco una vita in lavatrice, ho letto qui su sub che forse l'essenza vera di gennaio è, invece di fare liste degli obiettivi iper performanti, di fare come la natura, abbracciare la quiete come sotto la neve e prepararsi piano piano alla primavera.
Mi ha tremendamente colpito...