Si. Dopo un anno e mezzo di casalinghitudine e di vita dedicata alla casa, ai bambini, alla lettura, alla scrittura ed a tutti i corsi interessanti che ho trovato online, un paio di mesi fa ho deciso che era arrivato il momento di uscire di casa, di togliermi la famosa tuta di ordinanza e di ricominciare a fare una vita da adulta normale, che lavora, va in ufficio, prende il caffè alla macchinetta, ha un indirizzo email aziendale e si veste e si trucca la mattina come una donna di quarant’anni “deve” fare.
Quindi ho mandato un po’ di CV più o meno a caso, perché devo essere sincera, il mio CV metterebbe in difficoltà qualunque recruiter. Giusto per darvi un quadro della situazione: ho una laurea in Marketing e Comunicazione, un Master in Enterpreneurship1 ho lavorato 8 anni nel turismo, 5 in produzione televisiva, ho avuto un negozio di scarpe a Madrid, per 5 anni ho fatto e venduto abiti per bambini, ho creato siti web, scritto newsletters, fatto la social media manager, e fatto anche due figli, nel frattempo 😅… Insomma, variegato è dire poco, ma non ho iniziato e proseguito una carriera sola, e non sono dunque arrivata a posizioni dirigenziali in nessuna delle aree in cui ho lavorato, quindi è difficile orientarsi nel marasma, e mettiamoci anche che, passato il giro di boa degli “anta”, non so ancora davvero che cosa voglio fare da grande… O meglio, lo so, più o meno, ma per arrivare a dirlo ad alta voce devo ancora abbattere a colpi di macete una quintalata di credenze limitanti, e affogare paura e procastinazione nel caffellatte ogni mattina.
E allora ecco, visto che vivo a Malta, che parlo 3 lingue e che ho lavorato nel turismo, ho trovato lavoro in un tour operator, lavoro che non ha nulla a che fare con le mie passioni, con le mie inclinazioni, ne tantomeno con i miei sogni, ma le ragioni che mi hanno spinta fuori casa, quando quel giorno sono andata sulla pagina offerte di Linkedin, erano: ovviamente LO STIPENDIO, perché tu is megl’ che uan e arrivare stretti a fine mese non è divertente per nessuno, ma anche, e sopratutto, la necessità di interagire con degli esseri umani che non facessero parte della cerchia delle mamme (le mamme della danza, le mamme di scuola, le mamme del tennis etc…).
Si, io ho deciso di tornare a lavorare ed ho scelto di farlo FULL TIME perché, e un po’ me ne vergogno, non ce la facevo più a fare solo la mamma.
La mia vita mi stava troppo stretta, ricoprire solo quel ruolo mi stava troppo stretto, mi sentivo totalmente priva di identità, mi sentivo inutile ed improduttiva in una società che va veloce e che produce qualcosa, anche se si tratta di un noiosissimo foglio excel.
Il più grande scoglio da superare, quando ho preso la decisione di chiudere Mila27, il brand di abbigliamento per bambini che avevo creato imparando a cucire grazie ai video su Youtube, è stato proprio questo. La perdita di identità, l’ennesima. Perché che ci piaccia o no, la nostra società funziona per etichette, un po’ come il web, come la SEO, per collocarti le persone si basano su criteri ben precisi, e “che lavoro fai?” è di solito la seconda domanda che la gente ti fa dopo “come ti chiami?”. E a me, rispondere “la mamma”, faceva male.
Io sono stata figlia di genitori che hanno lavorato tanto, papà medico usciva alle 06.00 e tornava dopo le 20.00, quando non lavorava anche la notte. Mamma incatenata al negozio di famiglia, non poteva venire a prendermi a scuola (erano altri tempi e la scuola era davvero vicina, ma non era carino non trovare la sua faccia in mezzo a quelle di tutte le altre mamme casalinghe che invece erano li ad aspettare l’apertura del portone), non poteva accompagnarmi ai vari sport (che infatti ho sempre mollato), non poteva aiutarmi a fare i compiti, non poteva portarmi al parco il pomeriggio, non poteva essere a casa a preparare merende se volevo invitare le mie amichette a giocare. Sono cresciuta palleggiata tra baby sitter e retrobottega del negozio, un bel po’ arrabbiata per queste mancanze, che allora non capivo, nemmeno quando la vedevo ricominciare a cucinare dopo cena o lavare i pavimenti alle 11 di sera, e crescendo mi sono ripromessa che io, invece, ci sarei stata per i miei figli. Sempre.
Sempre finché ho resistito, perché ad un certo punto fare le addizioni, spingere altalene, giocare con le Barbie, preparare merende e gestire capricci, è diventato frustrante. Stretto. E mi ha impedito di godere davvero di quel tempo con i miei bambini, quel tempo che in un certo senso gli devo, ma che mi impediva di essere “altro” da loro.
E cosi mi sono lanciata nella vita dell’impiegata, pensando che lavorare a tempo pieno sarebbe stato meglio che essere mamma a tempo pieno.
Beh, mi sono sbagliata. O forse ho solo scelto il lavoro sbagliato, non lo so.
Il bilancio, dopo poco più di un mese di full time, è abbastanza disastroso. I bambini sono più nervosi, continuano a chiedermi perché preferisco andare a lavoro che stare con loro, Federico ha l’herpes praticamente da quando ho iniziato, Mila si stacca compulsivamente le pellicine delle mani, io mi alzo quando è ancora notte, e non per avere tempo per la mia scrittura o per meditare, ma solo perché alle 6.40, quando sveglio loro, devo avere già fatto la lavatrice ed aver fatto partire l’asciugatrice, aver sistemato un minimo la casa ed essere già vestita, per poter uscire subito dopo la partenza dello scuola bus ed essere in ufficio alle 8. E quando torno la sera ci sono i panni da piegare, la cena da preparare, i compiti da controllare e le favole da raccontare. E depennate tutte queste cose dalla to do list, io sono praticamente da buttare nell’umido… 🥱
Un mese fa ho iniziato un nuovo lavoro e semplicemente, lo odio. E lo odio non solo perché è davvero poco interessante, lo odio soprattutto perché non ho più tempo di scrivere. E lo so che è retorica stare a dire non ho tempo quando quello che non hai è la disciplina, l’ho fatto per anni, non avevo tempo per andare in palestra, per fare yoga, per cucinare cibo sano… bugia, il tempo lo avevo, solo che lo usavo per leggere e per scrivere, e sti cavoli se la cellulite è aumentata, e se ho allenato il muscolo sbagliato, quello molliccio che sta nascosto nella mia testa dura, invece che quelli degli addominali che vedrebbero tutti…
Ieri Mila aveva un’attività con la scuola, sono andati a ripulire una spiaggia da plastica e rifiuti, doveva avere guanti di stoffa, paletta, secchiello e il gilet giallo ad alta visibilità… Io mi sono ricordata solo dei guanti, e ovviamente non erano di stoffa ma di LANA. E quando sono tornata a casa, la prima cosa che mi ha detto è stata che lei aveva pianto perché era stata l’unica senza il necessario… La sua Santa maestra poi ha provveduto, sua madre, NO.
Ed io mi sono chiesta se il mio stipendio vale davvero più di quel pianto di mia figlia, che si è sentita diversa, si è sentita abbandonata perché io non arrivo a fare tutto, perché sono troppo stanca, e mi sto perdendo pezzi. Pezzi di vita.
Pensavo che tornare a lavorare fuori casa, con un vero contratto e non da freelance o da autonoma, come ho fatto per anni nelle ore in cui i miei bambini erano a scuola, mi avrebbe consentito di riprendermi una mia identità, quella che ho perso quando nel 2016 mi sono trasferita a Malta per amore, lasciando a Roma il mio lavoro in tv, la mia famiglia, la mia casa, i miei amici e la mia lingua, per trasformarmi nella fidanzata di qualcuno e subito dopo nella madre di qualcun altro. Ho provato a costruirmi un mio piccolo mondo, ho cucito tanti vestitini per bambini, ho creato un mio brand, il mio sito, ho faticosamente gestito i miei social e costruito una piccola community di mamme, ma poi il Covid ha dato una frustata in faccia alla mia marca, dedicata soprattutto a feste ed occasioni speciali, ed ecco, ho resistito finché ho potuto, ma basta una stagione andata male, quando sei piccola come lo ero io, e ti ritrovi a decidere se preferisci pagare il mutuo o ordinare altre stoffe… decisione molto semplice da prendere, per quanto dolorosa.
E allora mi sono messa in pausa, un anno e mezzo a pensare a cosa fare della mia vita, mentre facevo lavatrici e banana bread, mentre leggevo ed ascoltavo podcast, mentre arricchivo la mia anima e prosciugavo il mio conto in banca. Ho perso tanto tempo, il che è tipico di chi vuole fare tante, troppe cose, cosi tante da non riuscire a farne bene nemmeno una, a parte forse il banana bread. Perché nemmeno fare la mamma mi stava riuscendo cosi bene, ed ecco che ho pensato che lasciare il nido per andare “a caccia” non sarebbe stato poi cosi sbagliato, in fondo lo fanno tutte le mamme del mondo animale, e nessun cucciolo ne soffre, forse.
Ci voleva questa luna piena, che era alta in cielo quando mi sono alzata presto come al solito venerdì scorso, per costringermi a guardare in faccia la realtà e ad ammettere a me stessa che cosi non va, e non va non solo perché sono stanca e perdo i pezzi, sono consapevole che è un sentire comune alla stragrande maggioranza delle mamme con bambini ancora abbastanza piccoli da aver bisogno di aiuto per fare i compiti o per farsi la doccia. Non va perché il lavoro che faccio non mi riempie, non mi stimola e non mi arricchisce, e quindi il sacrificio è ancora più pesante, e mi ha fatto capire quanto sono stata fortunata, in passato, a fare i lavori che ho avuto la possibilità di fare: dalla TV al mio Brand, ho sempre fatto lavori creativi, ho preso decisioni, ho avuto responsabilità, ho avuto opportunità di crescita e di apprendimento enormi, mi sono divertita, mi sono autogestita, ho viaggiato, ho conosciuto persone interessanti e speciali, non sono mai stata 8 ore davanti ad uno schermo, e quando è capitato, era per costruire un programma tv o il mio sito web, e non mi pesava, anzi. Se passassi 8 ore a curare delfini, ad addestrare cani, a vendere libri, a fare immersioni, a scrivere, a creare, a cucire, mi peserebbe molto meno, questo è fuori dubbio.
E non va anche perché io voglio esserci, quando i miei bambini tornano da scuola, almeno fino a quando avranno un’età per cui la mia presenza è importante e fonte di gioia per loro. Tra qualche anno torneranno a casa e fileranno dritti in camera loro senza nemmeno preoccuparsi se io sia in casa o meno, tra pochi, pochissimi anni la mia presenza sarà forse un fastidio più che una necessità, ed allora sarò libera di andare a nuotare con le mante alle Hawaii se ne avrò la possibilità, ma per adesso il mio posto è con loro, seduta al tavolo di cucina a contare le decine e le unità, seduta sugli spalti del campo di tennis, o di pallavolo, o della piscina. Il mio compito è esserci per loro, non per compilare un foglio excel o per rispondere alle email. Non dopo le 14.00, almeno.
Questa decisione, che ho messo a fuoco davvero solo scrivendo questo pezzo, potrebbe costarmi il posto, e allora non è facile trovare il coraggio e le parole giuste per parlarne al mio capo, ma lo farò, se anche voi siete d’accordo 😜.
Durante gli anni di lavoro autonomo e in solitaria, mentre cucivo i miei compagni di lavoro erano audiolibri, conferenze e podcast tenuti da esperti, ed il mio metro di paragone erano queste persone di successo, persone colte, riuscite, che hanno trovato il loro proposito di vita e che per pagare i conti fanno qualcosa che non solo amano, ma che ha anche un impatto positivo sugli altri. Questo tempo di ascolto, di conoscenza e di introspezione mi è servito molto a capire dove volevo andare, mi ha ispirata moltissimo, ma allo stesso tempo mi ha fatto sentire piccola, chi sono io per pensare di poter fare qualcosa di cosi grande come avere un impatto sugli altri? Io faccio beneficenza, magari potrei fare un po’ di volontariato, ma mi fermo li, io non sono in grado di fare di più, io non sono come questa gente…
E invece, quando sono uscita dalle mie quattro mura e mi sono confrontata con la realtà del mondo normale, ho capito che si, io sono diversa eccome. Non si tratta di sentirmi superiore, non mi ci sento affatto, anzi, sono una pivella rispetto ai milioni di madri che lavorano full time da quando finisce la maternità e che sono ancora vive, sono semplicemente diversa perché mi faccio più domande, forse, o perché cerco le risposte, perché non mi accontento di sopravvivere in attesa del venerdì alle 5.
Io voglio vivere e voglio farlo pienamente, non voglio stare intrappolata in una routine che si ripete giorno dopo giorno e che non mi arricchisce, in nessun senso. Mi guardo intorno e vedo solo gente stressata, stanca, depressa, rassegnata, che sacrifica la propria vita per due spicci, ma che continua imperterrita nella strada intrapresa, nel solco tracciato da qualcun altro, perché è quello che ci insegnano a fare, a non deviare, a non cambiare, a non alzare la testa, a non farci domande, a non sognare. Io invece voglio fare in modo che mi succeda quello che IO voglio che succeda. E per farlo, il primo passo è capire chi sono e cosa è importante per me, il secondo è smettere di correre come un criceto nella ruota.
Io ho bisogno di creare, che sia un abito, una coperta, un racconto o una torta, poco importa, ma ho bisogno di costruire qualcosa che prima non c’era. È quello, che mi fa sentire bene. Ho bisogno di scrivere, e non aver avuto la forza ne il tempo di farlo per settimane mi ha prosciugata, ma mi serviva tempo per elaborare quello che mi stava succedendo, dovevo masticare il mio errore di valutazione prima di riuscire a metterlo nero su bianco, ed oggi ci sono riuscita. E pazienza se qualcuno, o molti, penseranno che sono una perdente, o una viziata, o una schizzinosa, o una nullafacente, mi interessa all’incirca quanto mi interesserebbe conoscere le calorie che ingerirei mangiando un insetto. Cosi, per rendere l’idea…
Non sono riuscita a scrivere il pezzo che volevo, non sono soddisfatta, ma scrivere è anche questione di allenamento, e so che se adesso io non clicco su pubblica e rimando ancora, potrei rimandare per giorni o settimane, e non posso farlo, perché per costruire la vita che voglio vivere devo agire, e se voglio che questo spazio continui a vivere, devo dedicargli tempo ed energia, ma devo anche essere un po’ meno severa con me stessa.
Quindi sì, questo pezzo magari non è un granché, ma è nato per mettere ordine nel caos che mi frulla in testa da settimane, e mentre scrivevo ho capito che la risposta è più chiara di quanto pensassi. Ora non resta che fare il passo successivo. Non so ancora come, ma so che non posso più restare ferma. Che non posso più perdere tempo. E se anche tu ti senti come me, sappi che non siamo sole. È ora di scrivere il prossimo capitolo.
Sempre entro le 14.00, sia chiaro.
Love,
Valeria
Imprenditorialità
EDIT: Ho chiesto al mio capo di lavorare 30 ore invece di 40, mi ha proposto di provare a fare 3 pomeriggi a settimana da casa ma mantenere il full time se il CEO accetta. Vediamo che dice lui e poi deciderò anche io, magari per un altro mese, posso provare. Se riesco a rimettere la mia famiglia e la mia vita in carreggiata, e a scrivere almeno qualche ora a settimana bene, altrimenti la decisione sarà molto facile da prendere. 🤓
Grazie a tutti per il vostro sostegno, vale ORO ❤️
non ho figli, non posso capire cosa significa pensare di perdere pezzi della vita di qualcun altro che è così importante e che richiedere così tanto la tua presenza. ma so che quando ti chiederanno cosa fai avrai solo l'imbarazzo della scelta, perché la risposta non è il lavoro che fai, ma cosa ti piace, cosa ti tiene in vita, chi sei. e quello che fai e quello che sei non sono la stessa cosa.