Mia figlia ha paura del dentista.
E tutta la serie di paranoie che questo fatto mi innesca.
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Una delle etichette che da sempre mi sono appiccicata è quella di CORAGGIOSA. Ci tengo molto a questa dicitura: coraggiosa. Suona bene, suona importante, mi fa sentire un pizzico più gajarda di chi invece ha paura, di chi si frena, di chi, in fondo, a pensarci bene, semplicemente si protegge, ma che secondo me, non vive.
Sono coraggiosa, e quindi non ho paura dei cambiamenti, non ho paura delle novità, non ho paura di accettare caramelle dagli sconosciuti, e nemmeno di aprirgli il cuore, a volte.
Sono coraggiosa, e quindi vivo da sola, esco di notte da sola, viaggio da sola, mi costruisco un business da sola, emigro da sola.
Non ho mica paura, io. Sono forte, io.
E poi succede che mi ritrovo in casa una piccola persona, che giuro, non la conoscete ma vi piacerebbe tanto, per la sua propensione a prendersi cura degli altri, la sua attitudine a proteggere il suo piccolo branco, la sua immensa sensibilità, la capacità di mettere se stessa in secondo piano e di rinunciare a qualcosa, se si rende conto che qualcun altro ne ha più bisogno.
Ma purtroppo questa sua tendenza alla protezione degli altri, lei la riversa anche su se stessa ed è, spesso, una bambina spesso paurosa, oserei dire drammatica. È capace di mettersi a letto per una vescica nel piede, vuole un cerotto al minimo graffio, ha paura del buio, dei rumori molesti, del sangue, delle punture, del dolore, della sofferenza degli altri, delle persone che non conosce, del dentista.
Tutto ok, voi direte: è normale, è una bambina. Si certo, è normale, forse, ma forse invece queste sue paure dipendono da me e dal mio modo di esserle madre, e questo tarlo mi mangia dentro. E nonostante questo, quando la paura sfocia in un comportamento invalidante ed incontrollabile, la mia mente di persona pseudo coraggiosa, che si lancia nella vita a 100 km/h come se fosse la bambola di un crash test, non riesce ad accettarlo.
Io non riesco a tollerare il fatto che lei non sia in grado di controllare le sue paure e che non abbia la forza di affrontarle. Quando le paure erano innocue tipo “non voglio andare a nuoto perché non conosco quei bambini” mi facevano semplicemente arrabbiare, ma riuscivo a trovare la calma necessaria per riconoscerle, validarle e semplicemente cercare di smontarle pezzo per pezzo, per darle coraggio e sicurezza (spoiler, senza risultato). Ma adesso che ci stiamo confrontando con paure di eventi inevitabili, fatico molto a mantenere la calma, fatico molto ad avallare i suoi comportamenti irrazionali di puro terrore, e non solo perché mi preoccupo del fatto che se non cura una carie sentirà sempre più dolore, ma perché la mia mente paranoica (Overthinker non è un aggettivo casuale) prende spunto da questi episodi per costruire una narrazione di mia figlia come di una persona paurosa, che non riuscirà mai a staccarsi dal nido, che non riuscirà a vivere la sua vita in modo indipendente, che non sarà in grado di sperimentare e di conoscersi attraverso i suoi errori.
Lo so che è folle, lo so che quella ragazza di 20 anni che per paura non vuole andare in vacanza con le amiche non esiste e probabilmente non esisterà mai, lo so che crescendo e vivendo le sfide quotidiane con il mio supporto lei sarà in grado di vincere le sue paure e potrà vivere la vita piena che le auguro e che merita. Ma io sono una mamma imperfetta, e combatto con questo mio limite mentre lei combatte con le sue paure. E nessuna delle due riesce a vincere.
Quando rifletto su questi temi e mi chiedo come risolvere questo cubo di Rubik che è mia figlia, mi scopro esigente, e mi rendo conto di esserlo con lei molto più che con il mio figlio più piccolo, un maschietto simpatico e temerario, che si accende di entusiasmo per ogni novità, che ha fiducia in se stesso, e che ha la capacità di farsi amici anche i muri. E non solo, sono più esigente con mia figlia di 7 anni di quanto io lo sia, o lo sia stata in passato, con me stessa.
Si perché io sono coraggiosa, oggi, ma da piccola ero capace di qualsiasi cosa pur di evitare una puntura, e me ne sono ricordata solo adesso, combattendo contro l’ansia di mia figlia usando come arma la spavalderia di donna adulta.
E allora le racconto di quanta paura avessi quando lei stava nascendo, e di come quella paura ho dovuto affrontarla perché non avevo alcuna possibilità di tirarmi indietro, le racconto della paura che ho avuto quando tutta sola mi sono trasferita a vivere in un’altra città, e poi in un altro paese, di quando sono salita in elicottero, o su un idrovolante, di quando ho fatto immersioni con gli squali, di quando ho discusso la tesi di Laurea, di quando da sola ho aperto un negozio a Madrid, e di quando, invece, l’ho chiuso. Ma poi mi rendo conto che tutte queste storie sono vuote, sono solo favole per lei, che probabilmente non trova un collegamento tra quella mamma coraggiosa dei racconti e la mamma normalissima che vive ogni giorno tra pc, compiti, spesa e lavatrici.
E allora, come posso io, dalla mia assoluta normalità, insegnarle il coraggio? Come posso farle vedere con i suoi occhi che mamma non ha paura, che mamma si butta, che mamma prova, che mamma cambia, se in realtà oggi vivo una vita senza traccia di quel coraggio di cui mi faccio bandiera?
E perché da lei pretendo cosi tanto, mentre invece a suo fratello richiedo solo il minimo sindacale di comportarsi come un essere umano e non come una scimmia urlatrice?
Ecco, è a questo punto che mi chiedo cosa vedo io in quella bambina di 7 anni, chi vedo in quel corpicino aggraziato e in quei riccioli ribelli? Vedo il seme della donna perfetta che le auguro di diventare, quella che voglio innaffiare di autostima giorno dopo giorno, quella alla quale dico che nella vita può scegliere, che può andare in qualsiasi direzione, che può avere successo, che può vivere come vuole e vivere ciò che vuole, ma sotto sotto, se sono sincera con me stessa, devo ammettere che la mia speranza è che lei decida di vivere la vita che io penso sia giusta per lei.
“I am your mummy, you listen to me…”
Non c’è trappola peggiore, per una madre, ed io ci sto cadendo con tutte le scarpe.
Faccio tanti sforzi per crescerli allo stesso modo, con le stesse responsabilità, le stesse coccole, gli stessi premi e le stesse punizioni, ma è innegabile che a lei chiedo di più. Perché è femmina, perché dovrà essere più forte, perché dovrà dimostrare di più, perché dovrà fare di più, e meglio, per ottenere ciò che lui si prenderà di diritto, perché è maschio.
Sto cercando di allenarla ad una vita che so sarà più difficile e più impegnativa, e la voglio pronta ad affrontarla, con coraggio, determinazione e forza. Spingendola oltre i suoi limiti io voglio proteggerla, perché non so quanto a lungo sarò qui per poterla nascondere nel mio abbraccio, per consolare il suo dolore, asciugare le sue lacrime, io voglio renderla forte e indipendente perché voglio sapere che sarà al sicuro, e che quando non sarò più io a vigilare su di lei, lei saprà difendersi da sola.
Che compito difficile quello di una madre, nell’educare i proprio figli alla vita e a tutte le sfide che essa comporta, sapendo che qualsiasi cosa io faccia o dica, le costerà comunque anni e migliaia di euro in terapia per curare i traumi dell’infanzia (welcome to the club!). Sono responsabile di educare un maschio al rispetto e una femmina alla difesa, uno alla gentilezza e l’altra alla lotta. Sono chiamata a rovesciare gli standard dell’educazione di genere per cercare, nel mio piccolo, di riequilibrare questo mondo che va al contrario.
È solo un caso che questa lettera io la stia scrivendo a Novembre, il mese della violenza di genere, il mese in cui ci ricordiamo e ci occupiamo dei femminicidi e delle vessazioni che le donne subiscono ogni giorno. È un caso che io sia chiamata ad educare due persone di sesso diverso, ma non è un caso che io chieda a mia figlia di essere pronta a lottare, di imparare oggi, a 7 anni, a combattere le sue paure più che a cambiare pannolini alle sua bambole, perché essere forte e coraggiosa le servirà molto più di saper fare le lasagne o cucire un bottone, checchè se ne dica.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, di questa missione cosi importante che noi genitori abbiamo oggi. Grazie per aver letto fino a qui, e se pensate che queste mie parole possano essere utili a qualcuno, sentitevi liberi di condividerle.
Love,
Valeria