Mi specchio nei tuoi occhi, mamma.
Mamme, figlie, ed il percorso ad ostacoli nella costruzione dell'autostima.
Ieri sera, mettendo a letto i bambini, ho deciso di inserire una nuova buona abitudine nella loro routine della buonanotte. Non avevo uno specchio a disposizione, cosi ho preso il telefono, ho acceso la fotocamera frontale e me la sono puntata addosso.
Ho iniziato a dirmi quanto sono bella, gajarda, intelligente e simpatica, quanto amo il mio corpo e la mia faccia, e poi la ciliegina sulla torta: “e non lasciare che nessuno ti convinca del contrario”.
Poi ho passato il telefono a Mila, e le ho chiesto di dire a se stessa qualcosa di bello, lei si è detta delle cose molto dolci ma con grinta. Federico ha anche aggiunto di essere molto coraggioso. Quando ci siamo dati la buonanotte guardandoci in quello specchio improvvisato, le loro faccette soddisfatte mi hanno riempito di orgoglio e quasi commosso.
Io ho lottato per anni per costruire la mia autostima, ed ho ancora molta strada da fare. Ero adolescente negli anni 90, quelli del boom dei disordini alimentari, quelli in cui il numero sulla bilancia ti definiva eccome, quelli in cui si diceva “cicciona” con la stessa leggerezza con cui si diceva bionda o mora, quando il concetto di body shaming non esisteva, esistevano solo le top model con la loro magrezza alle quali dovevamo per forza assomigliare, e non c’erano filtri a venirci in aiuto. Per fortuna, non c’erano ancora nemmeno i social.
Sono stata una bambina ciciottella e un’adolescente cicciona. Dagli 8 ai 16 anni sono stata diversa, e ho scolpiti nella mente svariati ricordi di persone che con leggerezza ed ilarità si sono sentite in diritto di fare commenti sul mio corpo, un corpo, in fin dei conti, di bambina.
Potrei raccontarvi del maestro di tennis che prima delle vacanze di Natale si preoccupò, quasi divertito, di ricordarmi di non mangiare troppo panettone, avevo 13 anni. O del bagnino che prendendomi in braccio perché giocando in mare avevo calpestato un riccio, mi ammonì di non mangiare più gelati, avevo 11 anni. Delle mie zie giovani e magre che durante il pranzo della domenica si sentivano in diritto, o forse in dovere, di controllare che nel mio piatto non ci fossero patate, avevo 9 anni. Potrei continuare a lungo ma penso di aver reso l’idea, e ho parlato solo di persone adulte, alcune mi volevano anche bene… Non posso colpevolizzare nessuno di loro, erano altri tempi, fare battute sull’aspetto fisico era normale, non si parlava di salute mentale, di rispetto, di diversità. Se eri diverso, peggio per te.
Non colpevolizzo troppo nemmeno mia madre, sono certa che abbia fatto del suo meglio, era una ragazza giovane, bella e magra, che dopo avermi partorita è uscita dall’ospedale indossando il suo tailleur taglia 40 di prima di restare incinta. Avere una figlia grassa non rientrava nei suoi piani, non lo aveva probabilmente messo in conto, non sapeva come gestire la sua frustrazione, la mia inadeguatezza, la mia tristezza, la mia fame. Non comprava dolci, pesava la mia pasta, cercava di cucinare cose semplici e dietetiche, ma non riusciva ad andare oltre. Non riusciva a dirmi che ero bella. E nessuna bambina si sente bella, se non si vede come tale negli occhi della sua mamma.
Probabilmente è per questo che ripeto continuamente ai miei figli che sono belli, che sono tosti, che sono intelligenti, che sono coraggiosi. Perché so quanto sia importante, per la loro autostima, sapere che io vedo in loro quelle caratteristiche, e se io le vedo, sono vere. Finché crederanno a Babbo Natale e alla Fatina dei denti, crederanno anche a tutto quello che dice mamma, e se riesco a seminare in loro l’autostima adesso che sono piccoli, poi saranno in grado di autoalimentarla. O almeno io ci spero, perché so quanto è tosta la vita, se non ti ami davvero, so quante scelte sbagliate si possono fare, se credi di non meritare stima o amore, so quanto sia facile poi, credere che non vali niente, perché non sei come gli altri.
Sia chiaro, nella bellezza non c’è alcun merito. Si nasce belli, brutti, alti, bassi. Si nasce con una faccia, con certe caratteristiche che non si scelgono, e che in nessun modo dovrebbero definirci. Dico dovrebbero, perché da ragazzina grassa posso affermare con certezza che la tua faccia non influisce sul tuo carattere, ma le cose che ti dicono, il modo in cui ti guardano, quello si, che influisce.
A 15 anni pesavo 100 kg.
Andavano di moda i jeans dell’Energie, ed io, povera ingenua, andai al negozio di via del Corso a Roma, per comprarne un paio: la commessa mi disse che la mia taglia non la facevano. Non c’era. Non esisteva. E quindi nemmeno io, in fondo, avevo il diritto di esistere. Da quel giorno non ho più provato nulla in un negozio di abbigliamento. Compravo maglioni informi a tinta unita, anfibi Dr Martens numero 44 (Ora ho il 41 e non sono di certo un’alice), e jeans 501 senza nemmeno provarli, fingendo che fossero per mio padre. La mia faccia non mi definiva, ma le umiliazioni si, il sentirsi diversa da forma ai tuoi pensieri, alle tue parole, alle tue azioni e alle tue reazioni. Il problema non è la tua faccia, non è il tuo corpo, è il modo in cui gli altri ti guardano.
Poi non lo so cosa sia successo, l’estate, la prima “comitiva”, il motorino e la libertà di essere finalmente quasi grande, la fame è passata cosi come era arrivata, e in pochi mesi ho perso 38 kg, ho tagliato i capelli, fatto i colpi di sole e finalmente sono potuta andare da quella commessa a farle tirar fuori tutti i jeans che aveva nel negozio, solo per sfregio, lo ammetto.
Una Valeria di 100 kg finiva il V Ginnasio, e qualche mese dopo un’altra, di 62, iniziava il primo liceo. Avevo 16 anni, ero dimagrita, ero bionda, ero alta, ero carina, ma dentro continuavo ad essere una bambina cicciona, e costruire la mia autostima mi è costato anni. Anni di lacrime, di errori, di terapia, di rifiuti, di amori sbagliati e di sofferenza. Dimagrita, ma mai magra. Mai abbastanza magra.
Dimagrire, cambiare forma, non portano automaticamente a cambiare la percezione che hai di te stessa, e non voglio nemmeno far passare il messaggio per cui solo le persone grasse hanno problemi di autostima, ne tantomeno che tutte le persone grasse ne abbiano. Ciò che voglio dire è che l’immagine che costruiamo di noi stessi viene da lontano, il modo in cui i nostri genitori ci guardano e ci parlano influenza più di ogni altra cosa il modo in cui noi ci guardiamo e come parliamo a noi stessi. Abbiamo anche questa enorme responsabilità, noi mamme, noi genitori: quella di costruire l’autostima dei nostri figli, a colpi di abbracci, sorrisi orgogliosi, ed occhi d’amore in cui farli specchiare.
Non smetterò mai di ripetere ai miei figli quanto sono belli, gajardi e tosti, cosi come non smetterò mai di ripetergli di essere gentili, di essere onesti, di ascoltare gli altri, di aiutare chi è in difficolta, di fare sempre del loro meglio. Li devo educare ad affrontare il mondo, ma anche ad affrontare se stessi, e devo dargli gli strumenti migliori per fare entrambe le cose.
Abbiamo questo dovere ragazze, per il futuro dei nostri figli, ma anche per il futuro del mondo, e sono certa che pur barcollando, pur arrivando a sera sfinite, e a volte anche con la sensazione di aver fatto qualche errore, noi ce la stiamo mettendo tutta e stiamo facendo un gran lavoro.
Love,
Valeria
Grazie, davvero! Mi sono ritrovato in tutte le cose che ti hanno detto, perché le hanno dette anche a me e me ne rendo conto solo ora che non erano cazzi loro i panettoni che mi mangiavo per Natale 🥹🙏🙏 🙏
Louise Hay sarebbe orgogliosa di te! :)