Sono passate SETTIMANE dall’ultima volta che ho aperto il pc per scrivere qualcosa, ed ogni volta che ci ho provato, in questi mesi, non sono mai riuscita ad andare oltre poche frasi, perché per quanto io mi ritrovi a scrivere sempre in risposta ad una mia urgenza e dunque spesso di getto e senza soffermarmi troppo a rileggere, c’era sempre qualcosa o qualcuno che mi interrompeva. Mi costa scrivere quello che sto scrivendo, perché ho sempre in mente le parole di Isabel Allende quando racconta di aver scritto La casa degli spiriti di sera, dopo il lavoro e tutto il resto, finche non veniva vinta dal sonno. E, anche in questo caso, io non sono né forte né brava come lei, perché la sera arrivo alle 21 che sono una polpetta, o meglio un hamburger, spiaccicata, altro che avere la testa per mettermi a scrivere.
Ho quarantaequalcosa anni, sono una donna adultescente e più o meno economicamente indipendente, eppure, non sono mai stata cosi povera. Di tempo. Di spazio mio.
Essere povera di tempo vuol dire che appena ti siedi qualcuno ti reclama, per pulire un culetto, per essere aiutato, per avere acqua, per vestire una bambola, per prendere quella cosa che sta in alto, per risolvere una controversia. Vuol dire non avere la possibilità di svegliarti con calma, di finire una riflessione, di finire un caffè. Vuol dire farsi guardinga durante un momento di pace aspettando l’urlo che la interromperà, sentirsi imprigionata in una vita che hai voluto e costruito, senza alcuna possibilità di poter o voler rinnegarla, ma che comunque ti da la sensazione di affogare, di non riuscire a stare a galla.
Perché la società del senso di colpa e dell’auto fustigazione ci vuole perfette, ci vuole mamme coraggio, ci vuole fiori d’acciaio, ci vuole forti, belle, magre, sane, con la pelle luminosa, senza rughe, ci vuole pazienti, amorevoli e sorridenti… Ma come posso io essere tutto questo quando devo scegliere se aiutare nei compiti o preparare la cena, se portare i bambini al parco o passare l’aspirapolvere? Dove posso trovare la forza di sorridere, giocare, asciugare lacrime ed abbracciare d’amore quando allo stesso tempo, con un sottofondo di capricci, lamentele e richieste quasi costante, devo educare, nutrire, pulire, rassettare, preparare ed organizzare?
Tutte le donne che passano gran parte della giornata lavorando fuori, al loro ritorno iniziano il lavoro non retribuito di gestire la casa, nutrire la famiglia, prendersi cura di tutti gli aspetti della vita dei loro bambini, dai bisogni basici a quelli di benessere, di ascolto, di coccole. Nel migliore dei casi riusciamo a fare tutto, cancellando completamente qualsiasi nostro bisogno, nel peggiore invece non ci riusciamo, e quindi i piatti si accumulano nel lavandino, la polvere sulle fotografie di famiglia, i panni sporchi nel cesto della lavanderia.
Grazie al cielo io appartengo alla prima categoria: non ho un marito che torna a casa e si butta sul divano, ma anzi si fa carico di molte incombenze pratiche -per inciso, non avrei mai procreato con un soggetto mezzo uomo e mezzo playstation- ma resta il fatto che anche se a casa mia alle nove di sera i piatti sono stati lavati, la biancheria piegata e riposta negli armadi, i giocattoli messi in ordine in attesa di essere di nuovo catapultati in giro per casa il giorno seguente ed i bambini dormono puliti e profumati, vuol dire che né io né lui siamo riusciti ad avere spazio libero per noi stessi, per nutrire la nostra anima, per nutrire il nostro rapporto di coppia, o anche solo per fare una doccia in pace. E la poca energia che ci resta ci permette solo di buttarci davanti alla tv, auto convincendoci che quello sia il nostro svago ed il nostro meritato riposo.
Ogni mattina mi sveglio con le migliori intenzioni, con positività, con gratitudine, e metto in moto questo corpo che inizia a sentire il peso della stanchezza, senza fermarmi fino a sera, quando arrivo stanca morta, avendo fatto per giunta solo l’indispensabile per tenere in piedi questa famiglia, ma non avendo fatto nulla per me stessa. E il giorno seguente, tutto da capo, tale e quale.
Ed è vero, è vero che nessuno mi ridarà questi momenti di manine morbide, di baci umidicci, di richieste di aiuto e di coccole, di occhi spalancati e di abbracci di amore puro, ma è vero anche che nessuno mi ridarà questo tempo che era mio e che ho sacrificato per prendermi cura di altri, nessuno mi ridarà quei pensieri che non ho avuto il tempo di scrivere, o anche solo di mettere a fuoco.
Il concetto di “povertà di tempo” è stato elaborato all’inizio degli anni ‘90, in uno studio sociologico in cui Harvey e Mukhopadhyay, nell’articolo “Quando 24 ore non bastano: la povertà di tempo dei genitori che lavorano” (traduzione libera dal titolo originale “When twentyfour hours is not enough: time poverty of working parents”) hanno evidenziato il fatto che gli indicatori di povertà attualmente basati sul reddito trascurano una seconda forma più sottile ma altrettanto importante di privazione: il tempo.
Ma chi ha letto Quaderno Proibito, di Alba de Cespedes, pubblicato per la prima volta come romanzo a puntate nel 1950, non avrà dimenticato i passaggi in cui Valeria, la protagonista, aveva difficoltà a trovare il tempo per scrivere il suo diario, perché nella sua vita non c’era spazio per se stessa, essendo scandita dal susseguirsi delle sue mansioni di madre, figlia, moglie ed impiegata, e lei era costretta a restare in piedi fino a tardi, fingendo di rammendare, per poter avere qualche minuto di solitudine per scrivere. E non solo, in casa sua non aveva nemmeno un posto tutto per lei in cui nascondere il suo quaderno “proibito”, se non la cesta dei panni sporchi o quella del cucito. Dunque questo disagio che adesso noi donne percepiamo e di cui parliamo ad alta voce, era proprio anche delle nostre madri, delle nostre nonne e via cosi, andando indietro nella storia e nella condizione femminile costretta ad incarnare svariati ruoli per tutta la vita, senza mai poter essere davvero solo se stessa.
Oggi il concetto di povertà di tempo fluttua tra sociologi, psicologi, articoli di settore, libri di auto-aiuto (che termine orrendo abbiamo per questo tipo di letteratura, nella nostra lingua! 😖) e reel su Instagram su mamme stanche e sopraffatte dalla loro stessa vita. Ma è un concetto reale e tangibile, che dà un nome a ciò che molti di noi sentono ma non possono misurare: quel tempo, come il denaro, è distribuito in modo diseguale e scompare rapidamente.
E si, io vivo su un’isola e ieri pomeriggio sono stata sdraiata sul lettino a leggere per circa 15 minuti, poi però qualcuno aveva fame, qualcun altro doveva fare la pipi, o aveva bisogno degli occhialini, o dell’asciugamano perché mamma ho freddo, o toglimi la sabbia etc. etc… Secondo gli standard di cui sopra, una donna che un mercoledì pomeriggio ha 15 minuti per leggere sul lettino in spiaggia, è una donna che HA tempo, ma nessuno mi scolla di dosso la pruriginosa sensazione che il mio tempo non sia mai abbastanza, che non sia mai rispettato, che possa sempre essere interrotto da tutto e da tutti, e quindi anche quei 15 o 20 minuti passati a leggere, vengono cancellati come impronte sul bagnasciuga e quando arrivo a sera, continuo a sentirmi derubata del mio tempo, e anche un po’ della mia vita.
Chiedo perdono a tutte quelle donne nel mondo che hanno due lavori, che hanno più di due figli, che magari fanno turni lunghissimi, vivono in una condizione di vera povertà o hanno problemi più seri di quelli della vita quotidiana, perdonate le lamentele di noi mamme “normali”, sicuramente privilegiate rispetto a voi, ma è una guerra tra poveri questa, e nessuna di noi ne esce vittoriosa, siamo tutte in affanno.

Perché la povertà di tempo non è una formula matematica che sottrae attività e richieste dalle ore disponibili in una giornata, riguarda il controllo che sentiamo di avere sul nostro tempo e su quanta energia mentale consumiamo quotidianamente, per anni, dal lavoro infinito e non pagato di gestire altre vite, ed ecco che io, da madre, quel potere su me stessa e sul mio tempo sento di non averlo più. Certo, non si possono ignorare il tessuto sociale in cui viviamo e le abitudini che ormai abbiamo interiorizzato, l’attenzione frammentata, il sovraccarico di informazioni, la glorificazione culturale del lavoro e dell’impegno, la tendenza ad ottimizzare ogni minuto, perché per non perdere tempo mentre lavi i piatti ascolti un libro, o un podcast, ma non puoi pensare, e chi lo sa se è meglio o peggio… Sono tutte queste cose insieme, miste alla mancanza di aiuti con cui spesso le mamme di oggi si trovano a dover fare i conti, a farci sentire sempre, costantemente, indietro. Quando magari, in realtà, non lo siamo davvero.
Tecnicamente abbiamo più tempo libero rispetto alle generazioni passate, abbiamo lavatrice e lavastoviglie, automobili, email, smartphone, google e chatGPT a renderci la vita più facile, ma usiamo quel tempo guadagnato nei secoli spezzettandolo in piccoli, minuscoli intervalli, che ci impediscono di portare a termine una cosa perché nel frattempo ne facciamo altre 20, io stessa, mentre scrivo questo pezzo, in una serata in cui ho spento la tv, mi sono interrotta parecchie volte per rispondere ad un messaggio, controllare se gli zaini dei bambini sono pronti, per mettermi la crema in faccia, per ordinare le borracce termiche online. Questa forma mentis post moderna divide il nostro tempo in frammenti troppo piccoli per essere davvero utili, e la sensazione di non fare niente quando invece si fanno mille cose, non può essere davvero considerata come “riposo”. Per non parlare poi dello stigma che questa parola si porta dietro…
Ovviamente non penso che il problema sia tutto da attribuire alla tecnologia e a come ci sta in un certo senso rubando la vita, non penso che se iniziamo a meditare o a fare yoga (quando, poi???) la nostra pace mentale possa diluire il nostro tempo e darci spazio per respirare o per leggere un libro in pace. È un dato di fatto che le donne, soprattutto le madri, hanno meno tempo libero rispetto agli uomini. Facciamo più lavoro non pagato, ci occupiamo della logistica, della gestione del calendario familiare, del pediatra, del dentista, di comprare i regali di compleanno per le feste degli amici dei nostri figli, e molto spesso, a quelle feste ci dobbiamo pure andare, dove incontriamo sempre e solo madri… chissà come mai, poi, è COSI DIVERTENTE!!!! 🤣
Un partner che mastichi i concetti di uguaglianza di genere aiuta, certo, smantellare per intero il patriarcato sarebbe ancora meglio, ma nel frattempo dobbiamo sgomitare per negoziare la divisione dei compiti a colpi di “hai preso i pannolini?” o “hai pagato la mensa”? Perché certo, farlo da sole è più veloce, ma fare tutto da sole non è giusto.
Non conosco uomini che lamentino la mancanza di tempo per se stessi, loro, semplicemente, se lo prendono, e non si pongono il problema di cosa accade intorno a loro. I maschi sono programmati per essere curati ed accuditi, per provvedere economicamente a se stessi e alla loro famiglia, nient’altro. Non gli si chiede di essere autonomi nel prepararsi da mangiare o di rifarsi il letto, non gli si chiede di fare la spesa, badare ai fratelli più piccoli, o semplicemente di sparecchiare la tavola, sono maschi, e fin da piccoli gli viene insegnato a dividere il loro tempo tra studio, sport e amici, tutto il resto è compito delle mamme e delle sorelle. E questo meccanismo basato sul patriarcato, sul concetto che la donna deve essere in grado di provvedere all’uomo e competere con altre donne per essere scelta e dunque salvata dalla povertà e dalla morte certa, pur essendo ormai un concetto privo di senso e ormai assolutamente non più valido, continua ad essere radicato nella nostra cultura e nel modo in cui i nostri figli, tutti, vengono cresciuti, per sfociare poi nella pressione eccessiva e sfiancante a cui sono sottoposte invece solo le donne, che non devono più solo immolarsi per la famiglia, ma anche tenerla in piedi economicamente, non solo perché uno stipendio non basta più, ma anche perché finalmente abbiamo il potere, il diritto ed il dovere di guadagnarci la nostra indipendenza, pur pagando per questo un prezzo ancora troppo alto.
Si, è strano, ma sta volta la mia lamentela non si limita alla maternità, perché questa sensazione di non riuscire a fare tutto, di non avere abbastanza tempo in una giornata, non la vivono solo le mamme, ma le femmine in generale, che sono strizzate in una vita in cui fin da giovanissime devono studiare, rendere, fare sport, lavorare, fare stage, imparare almeno due lingue, essere sociali, socievoli, informate, impegnate, carine, ordinate, pettinate, divertenti, educate, ben vestite e ben truccate. Avere tempo da dedicare alla famiglia, agli amici, alla lettura, allo sport, alla cultura, all’amore, alla costruzione di una carriera e dunque di un futuro, vivono con addosso la pressione di dover fare tutto, tutto in fretta e tutto bene, prima di concentrarsi sul “vero” obiettivo della vita di ogni donna: mettere su famiglia. Senza nemmeno sospettare che poi, quando riguarderanno indietro, avranno la sensazione di aver avuto tutto il tempo del mondo, prima…
Io vorrei proteggere mia figlia da tutto questo, ma come posso proteggerla dall’essere femmina?
Se qualcuno ha la risposta, please, FATEMI SAPERE 😩.
Love,
Valeria.
Io ne approfitterei della tecnologia per creare un QR code di questo post così posso tatuarmelo sul polso. E quando mi chiedono "come stai?" io rispondo "scansiona qui".
Mi ci ritrovo dall'inizio alla fine. La parola frammentata è quella che mi rispecchia e risuona di più in questo momento. E sul "Senza nemmeno sospettare che poi, quando riguarderanno indietro, avranno la sensazione di aver avuto tutto il tempo del mondo, prima…" ti dico solo che rimpiango di non aver studiato bene latino quando ne avevo il tempo :P