Eric. I veri mostri non sono sotto il letto.
Una serie Netflix e un paio di lezioni importanti per genitori non perfetti.
Non appaio da un po’ nella vostra casella di posta, non perché abbia avuto meno voglia o tempo per scrivere, ma perché sapere che molte persone che mi conoscono leggono queste righe, un po’ mi intimidisce. E quindi ogni cosa che mi veniva in mente e su cui rimuginavo di scrivere mi sembrava troppo banale, troppo poco intelligente, o troppo personale per poterla condividere. Che poi è ironico: viviamo nell’era della condivisione, ma mostrare la nostra intimità a degli sconosciuti attraverso i social ci sembra meno strano che raccontare i nostri pensieri senza filtri ai nostri conoscenti o ai nostri familiari.
Bene, ho girato e rigirato questo concetto nella mia testa ed ho deciso che se voglio scrivere, devo accettare il fatto che anche zia Pina leggerà questa mail e va bene cosi, il mondo è pieno di zie Pina che giudicano le nipoti anche se non scrivono newsletter. Ciao zia, ti voglio bene.
Superato questo piccolo scoglio sono inciampata in un altro: i miei bambini sono stati particolarmente impegnativi ultimamente ed io sono stata risucchiata dalla loro gestione, per lo più emotiva, e dallo sforzo continuo di riuscire a mantenere la calma, o almeno provarci. Ho dovuto dedicare parecchio tempo ed energie a cercare di arginare capricci e pianti a mio avviso immotivati senza perdere (troppo) le staffe, ma poi, essendo io una overthinker, per non dire paranoica, ho passato ore ed ore a chiedermi cosa stessi sbagliando e come poter riparare ai miei sbagli.
Avete mai sentito parlare delle ferite dell’anima? Ne sono venuta a conoscenza di recente ascoltando un podcast, (di cui non vi metto il link solo perché è in spagnolo, ma se qualcuno fosse interessato scrivetemi nei commenti e lo condivido volentieri) e mentre ripensavo alla mia infanzia cercando di inquadrare quale di queste fosse in me la più profonda, non smettevo di pensare a quelle che io sto inferendo ai miei bambini, inconsapevolmente.
Non mi voglio addentrare nella teoria perché il libro più famoso in cui si parla del tema non l’ho ancora letto, ma se volete lo trovate qui, voglio solo fare una riflessione da mamma a mamma (o papà). Crescere ed educare un figlio è un compito difficilissimo, e quasi mai si riesce a farlo senza errori, ma quanti di noi perseverano, sbagliando, invece di riuscire a migliorare? Perché è cosi difficile (almeno per me) educarli in modo positivo, essere pazienti ed assertivi senza perdere le staffe? La risposta non ce l’ho, anzi, come al solito ho tanti dubbi, ma credo che sia nelle ferite non curate che portiamo dentro, e che ci fanno reagire non come adulti risolti in controllo della situazione, ma come bambini a nostra volta, feriti mai guariti che feriscono perché non sanno fare altrimenti. Finché non si fermano per guardarsi dentro.
Durante queste giornate difficili e queste serate pensierose, sono incappata in una serie su Netflix, credo abbastanza recente: ERIC.
Non vi preoccupate non farò spoiler ma se siete genitori e vi piacciono le serie intricate vi consiglio di guardarla. Il tema centrale è la scomparsa di un bambino, ma quello più profondo è legato alla difficoltà dei genitori di gestire se stessi e la loro relazione proteggendo almeno il figlio dallo scatafascio in cui a volte, o spesso, le coppie precipitano senza riuscire a risalire la china, e di quanto le loro urla e le loro frasi taglienti possano danneggiare irrimediabilmente i figli, perché troppo di frequente, i veri mostri non sono sotto il letto.
Il percorso che i genitori affrontano durante la serie è doloroso e faticoso, ma sono costretti dagli eventi ad affrontare in primis i problemi con se stessi, e a fare i conti con il rimorso di non essere stati in grado di proteggere il loro bene più prezioso dalla rabbia che entrambi si scagliavano contro perché non erano riusciti a prendersi cura di se stessi prima di iniziare a prendersi cura di un figlio, un figlio che è scomparso e che non sanno se potranno più rivedere.



E dunque insieme alle lacrime che mi annebbiavano la vista, molti pensieri mi annebbiavano l’anima. Quante volte io, madre adulta e depositaria della loro verità, non sono stata in grado di mettere da parte le mie frustrazioni e le ho invece riversate sui miei figli quando ho affrontato i loro capricci nel modo sbagliato? Li ho forse feriti irrimediabilmente non accogliendo le loro insicurezze, non accettando i loro rifiuti, non vedendo attraverso la loro rabbia?
Quante volte ho detto “no” quando avrei potuto dire “si”, quante volte ho detto “basta” quando avrei dovuto dire “ti ascolto”? Quante volte ho detto “vai in camera tua” quando avrei dovuto dire “vieni che ti abbraccio”? E tutte quelle volte, era la mamma adulta a parlare, o era la bambina che mi porto dentro, ancora arrabbiata e umiliata per tutti i “no” o i “basta” che si è sentita dire?
Non lo so, forse sono entrambe, contemporaneamente, sempre. E questo, pur sembrando un problema enorme, in realtà è un ottimo punto di partenza, perché questa donna è in grado, oggi, di guardare al passato e di osservarlo da un nuovo punto di vista, consapevole di non essere la mamma perfetta che i suoi figli meriterebbero ma una persona umana, fragile e fallibile, come tutti, compresi i genitori che ha avuto in sorte e che hanno fatto del loro meglio con gli strumenti che avevano a disposizione.
Io ho più risorse, ho più informazioni, ho più consapevolezza, vero. Ma ho anche aspettative più alte, più pressione sociale, più alternative tra cui scegliere o a cui dover rinunciare, più domande da pormi, più confronto col mondo esterno, reale o social che sia. La frustrazione è tanta, voglio fare tutto bene, voglio la casa Pinterest, la vita instagrammabile, il lavoro gratificante, il conto in banca rassicurante, i bambini educati e sereni, eppure, molto spesso, mi ritrovo a dire ai miei figli le frasi che odiavo ascoltare da mia madre, mi ritrovo a commettere gli stessi errori che lei ha commesso con me, ed è odioso, perché io volevo essere perfetta, ma adesso, capisco. Capisco la sua stanchezza e capisco che non era perfetta come pensavo, era semplicemente una ragazza che provava a fare del suo meglio, con risultati spesso discutibili, proprio come me.
Si parla molto (ma non abbastanza) delle difficoltà delle neo-mamme, della mancanza di sonno, della perdita della propria identità, di come la gestione di un neonato, che è quasi sempre un esserino indecifrabile ed indifeso, possa risucchiare e paralizzare una donna adulta che pensava di essere pronta al ruolo e alle gioie della maternità, ma non si parla quasi per niente delle difficoltà che sorgono dopo, durante la loro crescita, quando non c’è più nessuno a chiederti come stai o se hai bisogno di aiuto.
Quando sento le lamentele e gli sfoghi di queste neomamme mi viene voglia di abbracciarle forte e di dire loro che la vita, per quanto complicata e molto piu difficile di quello che ci si aspettava, è comunque una scuola, e che quelle nottate insonni, quelle giornate infinite, quei pianti disperati, sono un’allenamento per quello che verrà dopo, crescere un figlio non è una vacanza alle Maldive in costume e pareo, è un viaggio lungo e faticoso, zaino in spalla e tanti sentieri ripidi, lasciamo stare le infradito, muniamoci di scarponcini da trekking e anche bastoncini da alpinismo se ne abbiamo, ma non dimentichiamo che le scalate più difficili si affrontano in cordata, mai in solitaria. Chiediamo aiuto, chiediamo supporto qualificato, prendiamoci cura di noi stesse per essere pronte a prenderci cura dei nostri bambini come meritano.
Una volta in cima, il panorama mozzafiato e l’aria fresca sul viso, ci ripagheranno dei sacrifici fatti e delle lacrime versate, perché si, anche le mamme, di nascosto, piangono. Io sono una di quelle, ma non smetterò di provare a fare meglio, e so che non sono sola.
Love,
Valeria
🆒🆒🆒🆒