Scrivere sapendo che qualcuno che conosco di persona leggerà quello che scrivo è una sensazione che gli inglesi definirebbero overwhelming, che si traduce con: travolgente, schiacciante, enorme, opprimente. Nessuna di queste traduzioni mi soddisfa, io più che altro direi che mi sento sopraffatta, in un certo senso, e non lo so se in senso buono.
È facile scrivere per chi ha sempre avuto bisogno di farlo, è meno facile cliccare sul tasto pubblica, quando sai che altri occhi leggeranno quello che tu hai nel cuore. E questa sensazione di profonda nudità io la sento a prescindere dal tipo di commenti che ricevo, che fino ad ora sono stati tutti deliziosamente positivi, (Grazie!) molto più di quanto io possa accettare di meritare, come direbbe la mia psicologa, con uno sguardo sbieco ed un sorrisino un filo accusatorio.
La necessità di essere perfetti è figlia del nostro tempo, figlia dei filtri, dei social, della tecnologia, della condivisione forzata di tutto, sempre e comunque, che impedisce alle persone di accettare i propri limiti, ma che le forza ad infrangerli per essere performanti, per essere all’altezza, per essere abbastanza.
Sono vittima degli stessi meccanismi anche io (eccezion fatta per la questione corpo perfetto, a quella ci ho rinunciato. Non si può avere tutto, ciao magre, vi voglio bene però ciao) ed è per questo che ho decine di rimpianti e una lunga lista di cose non fatte, lista di cui anche questa newsletter, blog o “mail che ogni tanto mando a chi le vuole ricevere”, faceva parte. Si perché molto, troppo spesso, il più grande dei nostri limiti siamo noi stessi.
“Se dentro di te ascolti una voce che ti dice che non puoi dipingere, allora mettiti subito a farlo e quella voce si spegnerà”
-Vincent Van Gogh-
Io ho scritto il mio primo, brevissimo racconto ad 8 anni, in quello che adesso chiamano il momento della verità, quello in cui si fa solo ciò che davvero ci riempie l’anima, ciò per cui siamo nati, e anche se si trattava di poche pagine e della banalissima e molto autobiografica storia di una bambina che si sente sola e vuole tanto un cucciolo, avrei dovuto capirlo, che la voglia di scrivere era qualcosa a cui prestare attenzione, o meglio avrebbero dovuto capirlo i miei genitori, le mie maestre, e invece era un’altra epoca, e visto che allora di me stessa e delle mie inclinazioni naturali non si è occupato nessuno, me ne devo occupare io. Adesso.
È tardi per farlo? Forse.
È tutto pronto e perfetto per cliccare su quel tasto pubblica? No, assolutamente. Eppure la magia sta proprio qui, nel decidere di pubblicare pur sapendo di non essere perfetta, pur sapendo che in molti leggeranno le mie paranoie, le mie lamentele, i miei pensieri magari strampalati, magari banali, ma miei. E resti chi vuole restare, e vada chi vuole andare, io sono già felice cosi, perché scrivere mi fa stare bene, scrivere è quello che mi riempie, che mi permette di essere me stessa nello spazio di qualche centinaio di parole, che mi rilassa, mi stanca, mi mette alla prova, mi fa pensare, mi fa sentire viva. E che succede dopo? Che sono una persona migliore, che sono una mamma migliore. Non importa se non ho uno straccio di strategia su cosa scrivere domani, non importa se odio i social e posto una storia ogni tanto solo perché devo, non importa se non sono una giornalista ne una scrittrice, per gli altri.
Io, ai miei occhi, lo sono.
Sono una mamma, sono una cuoca, sono una tassista, sono una stiratrice di camicie, una lettrice di favole, una dispensatrice di abbracci, un’asciugatrice di lacrime, sono una figlia, una sorella, un’amica, una collega. Se sono tutto questo, allora sono anche una scrittrice, perché scrivo ed ho il coraggio di pubblicare quello che ho scritto anche se so che non è perfetto, perché non tutti possiamo essere Paul Auster o Isabel Allende, o Oriana Fallaci, o George Orwell, o Jane Austen, e ok mi fermo perché la lista delle persone che vorrei essere nel momento in cui tengo in mano la penna è mooooolto lunga.
Il punto è solo uno ed è molto semplice: Viva la mediocrità, viva gli inizi imperfetti, viva il coraggio di fare schifo facendo qualcosa di nuovo: ogni grande campione ha iniziato da un primo banale allenamento.
Io, finalmente, scrivo. Ma prima ho cucito, ho ricamato, mi sono trasferita in paesi stranieri conoscendo circa 6 parole della lingua locale, ho avuto figli. No dico: c’è qualcosa di più ENORME che noi donne abbiamo fatto senza avere la minima idea di come si facesse? Abbiamo forse preso lezioni da qualcuno su come crescere e amare i nostri figli? No, non esistono lezioni, per quello, perché non esiste perfezione, e non è alla perfezione che dobbiamo tendere, dobbiamo andare fiere della nostra mediocrità e fregarcene di tutto tranne che del fuoco che ci brucia dentro. Non serve un secondo fine, non serve un piano a lungo termine, non serve un obiettivo. L’unica cosa che serve è il coraggio, perché non lo sai se quella frase che stai scrivendo, quel piatto che stai cucinando, o quella foto che stai scattando resteranno solo una frase, un piatto o una foto, o magari per qualcuno significheranno molto, moltissimo altro.
“Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendo”
-Aristotele-
Io sono nata per ascoltare storie ma anche per raccontarle, e scrivo perché scrivere mi fa stare bene, ma in un certo senso e con una deriva quantomeno New Age, ho la sensazione che quello che scrivo non lo scrivo per me, ma per qualcun altro: fosse solo anche una persona, se le mie storie possono far riflettere, far sorridere, far pensare, fare sentire meno sol@ beh, benvenuta sia, la mia mediocrità.
Love,
Valeria